Collega mostro,
credi anche tu che febbraio sia poco più di un confine lirico tra l’inverno e la primavera – che s’acquatta alla finestra, dicono, già col palmo contro il vetro, pronta a entrare vampirescamente da lì; peccato per il cambiamento climatico, che della stagionalità e dei lirismi se ne frega…? Oppure è solo la soglia su cui collassano i buoni propositi di gennaio?
Sia febbraio quel che sia, come ti raccontavo l’altra volta a partire da questo mese ti disturberò più spesso. Ci ho preso gusto, dicevamo, ahimé.
E oggi mi gusterebbe ragionare con te sul confine, sulla soglia. Sulle finestre. Sulla luce che ne entra. Sulle ombre.
1. Oggetti infidi
Nella Piccola Guida Tascabile agli (infidi) Oggetti di uso quotidiano in Letteratura (lo so, titolone. Il reload gotico di ABEditore una ne pensa e cento ne fa) è stato incluso un racconto, La finestra aperta di Saki, che non rileggevo da anni: l’ho riconosciuto con gioia, ché nel mio percorso pennivendolo ha una responsabilità grande.
Dentro c’è un cambio d’aria di quelli che, si diceva un tempo e si tenta tuttora, curano i nervi; c’è una personaggia gioviale, Mrs. Sappleton, e uno più ansioso, Framton, meno… sopportabile; c’è la nipote della signora, una mostriciattola minorenne – Vera – che approfitta dell’altrui ingenuità in modo imprevedibile; c’è un fuoricampo vasto di possibilità e c’è la finestra del titolo; e c’è pure, illustrato con semplicità ingannevole, tutto il potenziale delle storie, che sanno essere belle e atroci almeno quanto Galadriel rinfacciava all’Unico Anello.
In originale il racconto si chiude con
Romance at short notice was her specialty.
Ma dietro quel romance, che non ha nulla a che vedere col rosa che pensiamo noi e tutto con l’arte della balla strutturata, della narrazione pura, c’è un mondo intero – mondo che trovo sia stato ben reso da Antonella Castello traducendo la chiusa con
Le storie improvvisate erano la sua specialità.
Vero: la sua specialità. Stesso dicasi dell’autore, oltre che della personaggetta.
Saki, aka Hector Hugh Munro, autore de La finestra aperta, tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento ha condotto un’esistenza avventurosa dividendosi tra patria e colonie, tra scrittura professionale e la trincea dove ha poi trovato la morte a quarantasei anni. S’è trovato spesso sulla soglia, sul confine, alla finestra tra oppressione agìta e oppressione subita; ché più di tutto, in un periodo storico immondamente repressivo in cui quello eterosessuale era l’unico orientamento considerato lecito nel suo Paese (nello stesso periodo, i fatti di Cleveland Street e il delirante John Sholto Douglas avevano portato alla rovina Oscar Wilde), Saki dovette celare al mondo la propria queerness e vedere tonnellate di suoi diari distrutti dalla sorella in corrispondenza della dipartita.
Io so che alla mostriciattola che indaga sottile:
“Dunque non sapete praticamente nulla di mia zia?”
e poi decolla:
“La sua enorme tragedia è accaduta appena tre anni fa, ossia dopo il soggiorno di vostra sorella. [...] Vi sarete chiesto come mai teniamo quella finestra spalancata in un pomeriggio di ottobre.”
devo tutto.
Imbattermi in questo racconto a un’età da occhialuta pupona coi traumy — se non in qualche raccolta del Battello a Vapore, poco ci manca: si trattava di un’antologia scolastica — ha tracciato con chiarezza la strada che avrei voluto percorrere: quella della menzogna come realtà alternativa e piano di fuga, strategia di sopravvivenza e vocazione. Quella da contastorie, insomma.
Ho fatto un giro lunghissimo per arrivarci, e di certo governo meglio di un tempo le bugie (ricordi cosa mi raccontava a tal proposito Espérance Hakuzwimana, qualche puntata fa?), ma tant’è.
Possiamo rileggere Saki e ragionare sulla quindicenne pallonara che siamo statə tuttə – oggi l’internet consente pure di ritrovare la colonna sonora precisa de La finestra aperta – ma anche fotografare quanto dolore, ennui o solitudine si nascondano dietro chi a un’età giovanissima costruisce mondi alternativi come paravento, or else.
2. Bingo! (Non lei.)
Ce le contiamo anche da noi, le balle, beninteso — mica le infliggiamo solo al resto del mondo. Altro oggetto infido quanto comico che mi pare dia giusto séguito e sarebbe molto piaciuto a Vera, la diabolica personaggetta di Saki, è il – ahem – bingo delle bugie che chi scrive è capace di raccontarsi a pochi minuti dal risveglio.
L’hanno assemblato le pluripremiate autrici Susan Perabo e R.L. Maizes, e ovviamente funziona a finestrelle, a casellette da flaggare. Ottimo drinking game.
Enjoy:
Inoltralo a chi sai tu:
3. Tornassi indietro
…sterzerei. No, scherzo; ma, a proposito di antologie scolastiche con dentro le sorprese, qualcosa vorrei spoilerare alla pupona occhialuta di cui sopra, quella che viveva tra i banchi mangiata dall’ansia e dalla performatività a tutti i costi, cercando disperatamente di mantenersi invisibile lungo le file di armadietti in corridoio e contemporaneamente tentando di accumulare punti-affetto a suon di voti, merendine cedute, sorrisi a sessanta zanne.
Potrei dirle per esempio che in queste settimane un estratto di Chilografia, il cuoricione feticcio (santa Ada) con cui ho esordito nel 2018 per effequ, è finito proprio in un’antologia per il primo biennio.
Che botta lieta. Shoutout a Maria Clara Restivo, curatrice visionaria, gran docente e scrittrice, anima folle.
L’antologia s’intitola Forse un mattino (Sanoma, Paravia 2024).
Inutile dire che la copertina è piena di finestre.
L’INCONTRO PENNIVENDOLO – PER TE CHE LEGGI… e SCRIVI
Una delle prime sfide che abbiamo affrontato in aula, durante l’appena concluso Atlante di famiglia, aveva a che fare col mappare un certo tipo di confine nelle proprie narrazioni.
Una porta, una finestra… Una soglia. As in:
Ecco: immagina la soglia più importante – che sia fisica, reale: parte dell’ambientazione! – nella storia cui potresti lavorare. Cosa vedi da un lato e dall’altro della soglia? Cosa vedi intorno?
(A proposito: l’altra sera si è tenuto il reading conclusivo delle meravigliose creature che ho guidato in quest’impresa. Un onore, per me. Le ho ascoltate sul palchetto del Bistrò di Off Topic insieme all’autrice, traduttrice, docente e fellow monster Chiara Bongiovanni. Duetto impagabile. Se avete voglia di un guilty pleasure, che so, un romance che perculi i romance: check her out.)
Come confessavo proprio durante l'ultima lezione di Atlante, qualche giorno fa, tra le tante ho una tendenza particolarmente puerile. Quando si parla di questioni men che illuministiche, o credo a tutto o non credo in niente.
Tu che mi leggi hai opinioni precise su certe, come dire, fricchettonate?
Nel dubbio, da cose come – che so – i tarocchi io ho sempre preferito tenermi lontanissima. Sarà che in romanesco tarocco è un po' come farlocco, una roba che sa di imbroglio. E chi conta balle mal sopporta quelle altrui, ma guarda un po’.
Poi nella mia vita è arrivata Lucia Gaiotto.
Forse lo ricorderai: l’altra volta citavo Fiori e frutti, una finestra – di nuovo – spalancata sulla scrittura. Siccome ho avuto la fortuna di editare la sua ultima fatica editoriale (che poi esce a giorni e sarà la sua fatica d’esordio, anche se non la prima; buffo, no?), ne conosco da vicino gli sforzi creativi: mi farebbe piacere presentartela.
D: Cosa c'entrano, nel tuo percorso, gli Arcani con la narrazione?
L: Si tende spesso a pensare ai Tarocchi come a un modo per accedere alla chiaroveggenza, per vedere il futuro - insomma. In realtà non c'è errore più comune: i Tarocchi non vedono fuori, ci aiutano semmai a vedere dentro (di noi), come uno specchio, faccende da sistemare o risorse che non pensavamo di avere; e ci dicono come possiamo fare per andarcele a prendere, quelle risorse. In questo senso proprio gli Arcani Maggiori, cui si ispira molto liberamente il mio Catalogo di donne sole andando a reinventarli e a immaginarne di nuovi, sono a tutti gli effetti un percorso che rappresenta come noi esseri umani possiamo evolvere esteriormente e interiormente nelle nostre vite. Esiste per caso qualcosa di più narrativo? Come ogni personaggio che si rispetti anche noi abbiamo il nostro percorso da affrontare, con tappe e punti di svolta. Le mie personagge lungo il tragitto purtroppo si bloccano o riescono a reagire ma solo a costo di andare a pescare nel rovescio degli Arcani. Forse involvono, invece di evolvere, ma per ricordarci che noi - invece - possiamo percorrerlo tutto, quel percorso, e uscirne più vive di prima, se solo accettiamo di accogliere anche le nostre ombre.
D: Solo di ombre scriviamo. L'ossessione per non fiction e autofiction ne tiene conto. Ma ho l'impressione, nel leggerti, che alla tua scrittura non interessi meno la ricerca identitaria – semplicemente assume un'altra forma, più sghemba. Quello dell'identità è un tema che ti sei posta in maniera cosciente? Ti ha accompagnato anche in altre scritture, precedenti o collaterali rispetto a questa?
L: Identità, che parola bella e difficile. Sono sempre più convinta che quando ci si mette a scrivere a livello tematico ci sia ben poco di cosciente e che tutto si scopra strada facendo; o, addirittura, alla fine - magari attraverso gli occhi altrui. Ma se con identità intendiamo il sapere chi siamo, il trovare chi siamo, è vero che molte figure del Catalogo lo hanno dimenticato, hanno deciso di dimenticarlo o ancora vorrebbero saperlo ma forse è ormai troppo tardi per scoprirlo. In questo senso sì, l'identità è un tema che mi affascina: come sapere chi siamo? E soprattutto, quell'identità sta davvero in un posto fuori da noi (un ruolo, una relazione, un gesto) o magari la troviamo dentro ed è solo così che possiamo salvarci? Se invece con identità intendiamo il raccontare di sé dovremmo forse chiederci: esiste una scrittura, per quanto narrativa, che non parli di noi? La maggior parte delle storie del Catalogo sono inventate, anche se alcune nascono da piccoli dettagli reali, da fatti di cronaca o da personaggi ed eventi veri ma portati alle loro estreme conseguenze: per me, una volta che quelle figure e quelle storie sono sulla pagina, non è più importante distinguerle - perché diventano narrazione. Al tempo stesso, sono tutte vere perché parlano delle paure che ognuno di noi ha e tiene nascoste, di come avere a che fare con quelle ombre, di come fare a tirarle fuori senza che ci distruggano e di come fare a salvarsi proprio nominandole.
D: Cristallino. E mostruoso. E quindi, come chiedo, ho chiesto e chiederò a qualsiasi ospite della Guida: cos'è, per te, spalancare la finestra su un mostro?
L: Mostro per me è soprattutto un interiore plurale: i mostri che abbiamo dentro. Ansia, Paura, Rabbia - per dirne alcune - quando sono fuori controllo e ci governano. Proiettiamo i mostri nel mondo esterno e a volte li incarniamo in creature con gli artigli, ma i mostri siamo e siamo sempre stati noi (umani). Chi non vogliamo essere (e torniamo all'identità!), le cose che non vogliamo dire ma diciamo o abbiamo detto, le paure che ci attanagliano e ci impediscono di andare avanti, le ansie che ci intrappolano, i giganteschi loop da cui non riusciamo a uscire. Credo che i mostri ci facciano da sempre così paura perché non li potremo mai davvero scacciare, solo imparare a conviverci e forse - un poco - ad addomesticarli. Per questo le donne del mio Catalogo, quando le leggo, non mi fanno paura ma piuttosto tenerezza, anche dove sembra più improbabile: perché stanno in gabbie da cui non riescono a uscire, e le gabbie sono quelle da cui tutti e tutte vorremmo uscire, prima o poi.
Credo farò pace coi tarocchi.
Dopotutto sembrano piccole finestre.
4. Le finestre del momento, sul momento
Sempre l’altra volta ti scrivevo che in bio è sbucato un titolino nuovo. Il titolino è questo e insieme a Gallo, coautore e compagno di Merende (Selvagge), a due mesi dall’uscita io fanghèrlo l’illustratrice Maria Cristina Costa a un passo dallo stalking.
Sfido chiunque, signoramìa: ecco per esempio la finestra di Amalia (e su Amalia).
Sarà particolarmente bello, tra meno di un mesetto, ragionarci pure in aula: dopotutto, per Gallo & me, Le Avventure Inevitabili di Amalia Ingannasorte è stato anche un modo per affrontare con la scrittura il ciclo del trauma generazionale, per aprire una finestra sulle emozioni che ci immostrìscono e sull’effetto che certi conflitti narrativi hanno dentro e intorno alla pagina, alle relazioni, al mestiere. Alla docenza.
Magari ci vediamo online, se ti va, e festeggiamo insieme.
Intanto, once again con sentimento: spalancale, ‘ste finestre. Cambia l’aria ogni volta che ti va.
Ci sono tante cose da amare e da ricordare in questa puntata, l’esercizio soglia mi ha proprio rapita 💕 me lo sono appuntato. Grazie!