Piani, ritardi e LA FESTA DEL GRAZIE, ovvero Come Cimentarsi Coi Ricalcoli
Mostro mio (cit.),
sono in ritardo. Rispetto a cosa? Al piano, naturalmente. Lo so che hai un piano pure tu: abbiamo sempre, tutto il tempo tutt’ quant’, un piano. Un piano più o meno mostruoso. E più ci scontriamo col piano – più patiamo.
Proviamo ad addomesticarlo?
Lo racconta bene e spesso Santa
qui e altrove:In questi mesi di trasformazione ho portato avanti insieme tanti piani diversi, spesso in modo troppo caotico, due passi avanti e tre indietro. Anche i progetti vivono di fasi e io ho capito che deve andare così, con un momento più o meno lungo di esperimenti fatti a sentimento e poi un momento diverso per far scegliere e fare ordine.
Quindi comincio così: ringraziandoti di cuore perché stai azzannando questa mia e togliendo tempo al topic della settimana, la chermèss (ti vedo che passi in rassegna la VAR di wonder
, ti vedo: e ti assolvo, oh diabolica creatura canterella); poi, dopo averti detto grazie, moltiplico la molestia.Oh sì: a partire da questo mese passerò a disturbarti il doppio. È che le cose da raccontare sono sempre di più. Oppure, è che ci ho preso gusto. Ahimé.
1. In piedi a gambe larghe, a difendere il territorio
Grazie anzitutto, di nuovo e di pancia, per il calore che hai riservato allo spoilerino del podcast qualche settimana fa. L’assaggio audio ha smosso i cuori: e spero di poterti al più presto mostrare dell’altro, e rivelare in che modo circoleranno le storie di tutte le donne che hanno partecipato finora al progetto; persino quelle che, come Giuli Muscatelli (a proposito: hai letto lo straordinario pezzo che ha regalato a noi e a La Stampa qualche settimana fa?), dietro le quinte stanno dedicandosi anima e corpo a far arrivare queste voci lontano.
Quali voci?
Come ti raccontavo, nel podcast ci sono le parole e le storie di Vera Gheno, Antonella Lattanzi, Stella Pulpo, Chiara Becchimanzi e tantissime altre, alcune più riconoscibili altre per scelta anonime o pseudonime, in quello che insieme alle mie colleghe Benedetta Petroni e Sara Bertazzini ho definito un coro anti-trappola in grado di scansare certi mostruosi tranelli: quelli legati alla salute femminile.
Nel frattempo ti racconto un po’ meglio, con le parole che ho elaborato insieme alle sodali, per quale motivo AGL si chiama così.
È la notte tra il 7 e l’8 marzo 2017. Di fronte al gigantesco toro di bronzo che carica la folla in Wall Street, nel cuore della Grande Mela, alcune persone in relativo segreto installano una seconda statua. È una bambina alta un metro e trenta. Pesa centodieci chili, perché è fatta dello stesso bronzo del toro. È in piedi, la vestina svolazzante contro un vento che sente solo lei, e ha il mento vagamente sollevato, i pugni stretti contro i fianchi, i gomiti che puntano in fuori. Ha le gambe dritte, tese, larghe a sorreggerla: pare fronteggiare il toro e marcare un territorio, una posizione — quella alternativa al machismo tossico della finanza mondiale che celebrava il bovino, si disse allora.
C’è una spietata operazione di marketing, dietro: su incarico dell’arcinota agenzia di comunicazione McCann, è stata la scultrice Karen Visbal a posizionarla lì per conto della SSGA, ovvero la società di gestione patrimoniale State Street.
L’idea è quella di sensibilizzare le aziende sul ruolo delle donne nel mondo del lavoro, specialmente finanziario, nei CDA addirittura, e incoraggiare la leadership femminile. Ma l’idea è pure, si scoprirà, promuovere sfacciatamente un fondo di investimento specifico della State Street, ovvero SHE/LEI: la targa ai piedi della statua dice: “Know the power of women in leadership. SHE makes a difference” (“Riconosci il potere delle donne al comando. LEI fa la differenza“).
Oggi quella statua non c’è più. Almeno, non lì. A esigere la sua rimozione, bombardando di mail le autorità e finendo per raccogliere migliaia di firme (visto che altrimenti avrebbe preteso la restituzione del toro!), fu prima di tutto l’autore della statua preesistente, del bove, cioè del toro appunto, insomma Arturo Di Modica: sosteneva che l’integrità artistica del bovino fosse stata compromessa, e che ora suo malgrado la bestia fosse diventato l’antagonista in un messaggio politico peraltro a fini pubblicitari, anziché l’originaria esortazione positiva alla forza e alla potenza che lui aveva inteso.
E allora dov’è oggi la ragazzina senza paura, Fearless Girl? Direttamente di fronte alla facciata della Borsa di New York. Nella sua vecchia postazione davanti al toro, invece, resta una targa a segnalare lo spostamento: riferendosi alle orme rimaste in loco, suggerisce “Finché lei si trova lì, prendi il suo posto”.
A Gambe Larghe siamo indifese, quindi. Ma siamo pure formidabili, se restiamo in piedi.
2. L’altro spoiler, aka il segreto di Pwollecenielle (perché la verità è che gli annunci io non li so fare)
Ringraziare, si diceva. Di che (altro)?
Per esempio del fatto che c’è un titolino nuovo che mi occhieggia ufficialmente nelle bio. Il titolino è, argh l’emozione, questo.
L’ovvia prima persona da ringraziare è Gallo, coautore e compagno di Merende (Selvagge) e di misfatti (questo, per dire, ma anche questo; ci vediamo a marzo a Milano, se ti va?!). Il resto dell’elenco, la Festa del Grazie di borisiana memoria, per il momento te lo risparmio.
E ce lo diciamo così?!
Ce lo diciamo anche così.
Ché ci sarebbe tutto un ragionamento da fare, sempre, su come raccontare le cose belle che capitano senza terribilmente marchettarsi: e io getto la spugna anzitempo, invitandoti piuttosto a raccontarmi come fai i conti, tu, con le conquiste cui approdi.
Scriveva per esempio Lucia Gaiotto qualche settimana fa nella sua coccolosissima newsletter Fiori e frutti, generosa finestra spalancata sulla scrittura:
Sono cresciuta in Piemonte, con genitori piemontesi e nonni piemontesi – tolto un minoritario quarto veneto. Ho sposato un uomo piemontese, cresciuto in Piemonte da genitori piemontesi e nonni piemontesi. Ho quindi imparato che è meglio non disturbare o alzare la voce; meglio non vantarsi o dare troppo spazio a quello che si sa fare – vorrai mica crederti chissà chi. Ho imparato che agli altri, di base, non è che interessi molto sapere cosa fai e chi sei, meglio quindi rispondere solo se interpellati, meglio non farsi vedere. Farsi vedere, un modo di dire che ci ricorda come sia meglio restare invisibili, nascosti nella nebbia padana che se guardo fuori dalla finestra proprio adesso vedo bella densa e fitta. Ho imparato a fare mio un certo fastidio e una certa intolleranza per chi grida i propri successi, per chi li sbatte in faccia agli altri.
Beninteso, chi qua ti scrive è tutto fuorché sabauda; se un po’ mi sai, conosci il mio infingardo accento retrattile, la caciara centro-italiana and all that jazz. Lungi da me quindi, ora e sempre, farne una questione regionale.
Ma Lucia centra, ben oltre i localismi (rileggere solo il grassetto per credere) un tema non da poco; quello della passivo-aggressività per eccellenza, delle gongolate nascoste, dei canti di vittoria sottovoce. Salvo poi sonoramente, ahem, rosicare. A chi giova, tutto ciò? A nessuno.
E quindi adesso ce lo diciamo così. Poi, giuro, ce lo diremo meglio.
L’ANGOLO PENNIVENDOLO – PER TE CHE LEGGI
Non saremmo nessuno, ovviamente, tu né io, senza le entità che a vario titolo ci hanno concesso di abbarbicarci sulle loro spalle e fare, o dire, la nostra.
Spesso capita, smontando e rimontando narrazioni, di dover fare i conti con tutto ciò che ha contribuito a generarle: persone vive e altrui scritture – più o meno vive, loro, più o meno morte.
Per esempio: tu che opinione hai, mi chiedo, delle postfazioni? Le skippi? Le cerchi? Le leggi per prime, e se in un libro non ne trovi per principio molli tutto? E i ringraziamenti?
Su Rivista Studio ormai dieci (!) anni fa, Rossari chiosava in merito:
“Gratulatoria”, “Nota”, “Explicit” o un più modesto “Ringraziamenti”: in coda, che sia miele o veleno, arriva quasi sempre un corposo elenco di persone (o animali, come vedremo) da ringraziare o gratificare o ingraziarsi. Un cahier di benedolenze che sta diventando un genere a sé stante [...]. “Grazie” in questo caso vuole dire anche “ce l’ho fatta” e, a seconda del destinatario, “non sono più come te” oppure “ora sono proprio come te, ipocrita scrittore, mon semblable”.
Muovendo da Lui sa perché. Fenomenologia dei ringraziamenti letterari (Cutolo e Garufi, con tanto di prefazione di Bartezzaghi e contributo di Eco, per Isbn, mille anni fa), Rossari insiste:
Tutto quello che avresti fatto bene a tenere per te – in una mail, in un sms, forse meglio ancora in una conversazione a voce (almeno, cimici permettendo, non restano tracce) – diventa invece autodenuncia delle proprie velleità, esposizione del tronfio sé al pubblico ludibrio: un pruritino dolcissimo che può finalmente essere grattato. Nell’inventario stilato da Cutolo-Garufi c’è tutta la vanità esilarante di chi scrive, al di là dell’esito finale: i ringraziamenti sono una livella che appaia il premio Strega allo scribacchino autopubblicato, lo sgobbone ignoto al premio Nobel. Teneramente idioti, fragili, pomposi, fatui, a volte perfino capaci di sincera riconoscenza, gli scrittori ne escono come esseri umani. Grazie al cielo.
Umani e non mostruosi, dunque, gli esseri che siamo. C’è speranza.
Te lo chiedo anche per un’altra ragione, confesso. Perché, in coda alla sua riscrittura stokeriana Così per sempre, persino Chiara Valerio ha piazzato Nota e ringraziamenti. in cui tra l’altro scrive:
Sono andata raccogliendo pezzi di Cosí per sempre e, da questo punto di vista, il libro è anche un diario di lettura e un manuale su come chi legge abbia in testa una fortissima carta moschicida dove tutto rimane appiccicato e dove tutto è spezzato, parziale, deformato, proprio come gli insetti che cercando di sfuggire perdono le ali, o le zampe, talmente compressi da essere irriconoscibili. Mi vengono in mente poche cose crudeli ma ineludibili come l'esercizio della memoria.
Valerio passa poi a ricostruire le letture che, in tutto o in parte, hanno fatto da solco e scivolo per il suo Giacomo Koch; non prima d’aver deciso di dedicare quella sezione di scrittura a una piccola ricostruzione postuma della genesi dell’oggetto-libro.
Affascinanti, queste faccende, per chi legge (e scrive); oppure, aliene e mostruose anch’esse – o fin superflue, per te?
L’ANGOLO PENNIVENDOLO – PER TE CHE SCRIVI
Ci dicevamo sin dall’inizio che
ogni anno in Italia escono quasi novantamila nuovi titoli. Ogni anno in Italia meno del 40 per cento delle persone che hanno più di sei anni legge un libro sua sponte.
Però, però: troviamo il tempo per scrivere insieme, volendo, tu e io – ci dicevamo pure, in piena schizofrenia. Ché se scrivere richiede mostruoso allenamento, ed è un muscolo incline – come qualsiasi altro – all’atrofia totale o parziale, capriccioso e infido, vessato dagli acciacchi e dall’età percepita (come pure dopato dalle endorfine in circolo), possiamo continuare a esercitarci in tandem.
Io ti do un innesco – ispirato dai migliori, s’intende: al solito, non ho alcun merito se non quello di portarti stimoli, come i cadaverini-omaggio sullo zerbino da parte di un grooosso bestio devoto – e poi ci pensi tu: ecco quello di oggi.
La comunità scientifica internazionale annuncia con giubilo sommo di aver svelato il segreto dell’immortalità. Scrivi una petizione à la Change.org con l’obiettivo di… preservare e tutelare l’evento della morte.
3. E i ricalcoli?!
I ricalcoli à la Siri sono questi: s’era detta mensile, la Guida Pennivendola, ve’?
E invece. Siccome voglio parlarti meglio e tediarti meno, ma spesso, esattamente come farei con qualsiasi persona che mi piace frequentare, con la Guida Pennivendola per Sopravvivere All’Apocalisse tornerò a parlarti di mostri tra un paio di settimane, anziché un mese intero. Tornerò con alcuni mostri dentro e altri intorno.
Per cui, se ti va,
Nel frattempo, ma già lo sai: G R A Z I E 🖤
Ma grazie a te Domitilla Adoratissima ❤️