Mostro amico –
Come hai passato l’estate? Io a bucare consegne e pazienze – ma m’è servita, l’estate, pure per far sedimentare alcune mostruosità intercettate nelle ultime settimane.
Per arrivare a quelle facciamo un giro. Ci vieni, oggi, in giro con me? Ti porto altrove e altroquando.
Ti porto anzitutto al paese, precisamente in Via della Rocca: su, su, su, in cima alla salita che sta tra la fontana della Piazza, l’edicola, la pizzeria di Sonia.
C. e io abbiamo otto, forse nove anni quando affrontiamo i tornanti e finalmente raggiungiamo casa di lei – la ricordo cinematograficamente grande e piena di luce, i finestroni spalancati su tutta la valle. La casa è vuota e noi pronte allo spettacolo serale. La proiezione solitaria.
Non siamo mai state così zitte così a lungo da quando ci conosciamo.
Il cinema non è solo l’habitat naturale in cui mi pare si collochi casa sua; è pure il motivo per cui ci gettiamo tutte sole sopra al divano XXL che accoglie i nostri femori lunghissimi, le guance tondissime, gli occhiali rosa e verdi. Ci mettiamo comode. Poi meno comode: ché la VHS che la mia amica, a balzelloni, è andata a infilare nel videoregistratore ha un titolo che non somiglia a nessun altro.
È Un lupo mannaro americano a Londra.
Mentre le cartoline di brughiera gallese scorrono sullo schermo sotto Blue Moon – che ricorre ben tre volte, in tre versioni differenti, nella colonna sonora: qui è quella cantata da Bobby Vinton, sui titoli di coda ci sono i Marcels col loro sarcastico doo-wop ma sulla scena più iconica tocca a quel romanticone di Sam Cooke – , la cine-casa della mia amica C. perde luce senza che io né lei ce ne accorgiamo; dai finestroni del salotto, la valle ha smesso di cantare.
Un pezzo importante della mia ossessione per i mostri si consolida lì: tra il salotto della mia amica e lo scherzo che ci fa quel buontempone di suo padre quando, tre ore dopo, percorrendo a ritroso Via della Rocca buia pesta, C. e io torniamo giù in piazza e lui spunta ululando da dietro a un muretto.
1. MannARGH
Confession time. Lavoro al lupo – beh, a un lupo; a una qualche larvata forma deforme di lupo – dal 20 ottobre 2019. Ha una data di concezione precisa e un paio di foto che lo eternano, poraccio; spesso compare a infestarmi i sogni; s’è palesato persino durante certe peregrinazioni museali con la mia amica Valentina, inestimabile ispiratrice.
Compare, scompare, il lupo. Non se la dà mai a gambe, però.
In mezzo c’è stata l’uscita di NN e poi di Gioco e poi l’antologia e poi Amalia (e adesso la creatura nuova di zecca, CCC!); l’hanno sorpassato a destra una pandemia, i progetti di non fiction attualmente in corso, le evoluzioni di vita e di mestiere.
Lungo la strada, un sacco di schegge mannare.
Ma al lupo vanno i miei pensieri intrusivi: gli torno addosso ogni volta che, invariabilmente, sono obbligata a fare scrivere altro. Tipo adesso.
(Dopotutto – seconda confessione – la prima cosa che ho scritto, quando ne ho avute coscienza e facoltà, è stato un retelling cappuccettesco… Si chiamava La giostra dell’olio. Se ci ripenso rido, penna rossa alla mano. Ma tant’è.)
2. Un regalo mostruoso
A proposito di lupi e Cappuccette.
– “What have you done with my grandaughter?”
– “Nothing she didn’t want.”
Ma anche:
The worst kind of wolves are hairy on the inside and when they bite you, they drag you with them to hell.
È possibile che tu abbia riconosciuto al volo Angela Carter, in questi scambi, mostro mio. Ha partecipato persino alla sceneggiatura di un suo adattamento, La compagnia dei lupi di Neil Jordan:
Ma ti rimando all’Atelier di immaginazione, la newsletter di , per un dono notevole, ovvero un ricchissimo approfondimento in merito: ché ragionare sul mostruoso (interno / esterno; di genere, anche, come sempre in tutti i sensi) presenta sfide articolate, altrove già vinte – almeno in parte. Non dobbiamo improvvisarci, ma studiare. Studiare tantissimo. Per fortuna c’è sempre qualche altra penna che arriva in soccorso.
3. Un altro regalo mostruoso
Per esempio c’è Claire Dederer e il suo Monsters: A fan’s dilemma (grandiosa l’acquisizione italiana da parte di Altrecose, la casa editrice creata dal Post insieme a Iperborea: Mostri - Distinguere o non distinguere le vite dalle opere: il tormento dei fan).
What do we do with great art by bad people?, come recita la copertina originaria – che ci facciamo, con le opere grandiose di persone, beh, moralmente discutibili?
Testo ricco, generoso, articolato, il libro di Dederer non fa che restituire le domande al mittente come farebbe una qualsiasi superficie riflettente (o l’ottimo metodo Gordon, per citare un altro dono dell’ottima Valentina); chi è alla ricerca di facili soluzioni non ne troverà, né un algoritmo che calcoli la gravità delle colpe rispetto alla grandezza di certi capolavori. E poi c’è dentro Vlad Nabokov, l’anti-mostro per eccellenza, il cuore del mio cuore (narrativo). Da leggere prima di subito, insomma.
Come mi è arrivato tra le zampe? Un altro regalo mostruoso: uno dei toxic traits di Gallo è che non sbaglia mai un regalo o un consiglio – impropriamente lo chiamo fransplaining 🙄
Mostri è uno degli ultimi regali che mi ha fatto, e mi aiuta a colmare considerevoli lacune: quelle relative allo scollamento tra lupi narrativi e lupi narratori, per esempio. E, a proposito di lupi narratori…
4. Neil e il consenso (e il lubrificante, or lack thereof)
Hai intercettato Master, uno dei più mefitici rilasci della bolla letteraria nell’atmosfera – roba che un fenomeno percolativo da cimitero puzza meno…?
Contiene il resoconto, 50% melò 50% trigger (una dei due podcaster è la sorella di Boris Johnson, accidenti), di alcune relazioni private nella vita di Neil Gaiman; per usare un eufemismo, si tratta di relazioni accomunate dalla problematicità del rapporto dell’autore col concetto di potere. E di consenso. (E quindi di sesso, e di violenza, ma anche di teina, diceva un video geniale e sempre attuale.)
Mi piacerebbe poterti rimandare a un’accurata ricostruzione dell’accaduto, magari una a firma di ValigiaBlu o ilPost: ma non esiste ancora, e per molto tempo tutto ciò che è uscito in merito proveniva da chi non ha mai avuto il coraggio / la pazienza / il tempo di ascoltare le fonti originarie e parlare solo a ragion veduta. Per cui ti consiglio di dare una possibilità al podcast (anzi, ai podcast: ché nel frattempo è successo pure questo, ovvero l’ennesima vittima s’è raccontata a Am I Broken: Survivor Stories) e decidere per tuo conto. Sappi però che c’è questo, che ti aspetta:
In the end he told me that what happened was my fault. Even tho my body was telling me this entirely different story, like the opposite story, I ignored it and I believed him, because he’s the storyteller.
Ti prego solo di rispettarti, nell’investigare, mostro mio. Sai che credo poco ai trigger warning, ché mi parrebbe di stimarti un po’ meno, nel metterli sulla pagina: siccome ti voglio bene, però, ci tengo a segnalarti che non è un pranzo di gala, l’ascolto, come non lo è la rivoluzione. Abbi cura di te, se decidi di cimentarti.
Quanto a me, riparto da una confessione, la terza oggi.
Confesso grandissima stima intellettuale e passione nerd nei confronti di molto di quanto è stato prodotto da Gaiman finora. Confesso pure genuino dispiacere provato, qualche anno fa, davanti alla notizia della fine del matrimonio tra Gaiman e l’iconica Amanda Palmer, peraltro paladinə delle unioni non convenzionali, celebri per aver contribuito a smontare il concetto di monogamia asfittica e borghese, in tempi più lieti, col loro esempio. Confesso persino la tenerezza sorta a suo tempo davanti a questa foto qui, a queste parole qui, le parole – invecchiate come solo le carcasse e certi ammmori san fare – di una coppia sposata in casa di Michael Chabon e benedetta, pareva allora, dall’unione di intelletti superiori e sensibilità altissime.
Niente di più cringe.
E adesso provo, con te e per te mostro mio, a mettere in ordine qualche pensiero.
La giustizia processuale è un relitto anacronistico, temo: mentre i tempi lunghissimi della macchina della verità giuridica stantuffano con calma, Disney e Amazon hanno già cominciato – pur nel silenzio iniziale, tutto volto a capire come avrebbe reagito Gaiman – il velocissimo drop dei progetti che coinvolgono l’autore. Reddit, nel frattempo, s’intasa di teorie; e a fan di lunga data come la sottoscritta resta un’amarezza impossibile da cancellare.
Non solo a me, ovvio:
Comunque si svilupperà, ho l’impressione che questa faccenda contribuirà a evidenziare ancora una volta – non che servisse – che c’è una gigantesca zona grigia intorno all’interruzione del consenso entro rapporti complessivamente consensuali.
Rimando nuovamente al video della tazza di tè: avviare una relazione non significa necessariamente acconsentire a qualsiasi pratica.
“Ma allora tocca farsi firmare la carta da bollo, prima di…?” No. Questo non lo credo affatto. Credo però questo.
Credo che, se le persone coinvolte appartengono (o sentono di appartenere) a ruoli di potere ben distinti, qualunque consenso generico sia di fondo viziato. Ogni volta che la legge tenta di mettere coperchietti arcaici all’incoperchiabile, al costume umano delle relazioni, appare chiaro sempre più che serve un vocabolario nuovo, e una reciproca taratura e una miglior comunicazione, soprattutto tra, sì, consenzienti over 18 con differenza di età annessa. Sennò si rischia di perderle per strada, le sfumature del yes she said yes she will yes – con buona pace della grande letteratura. Quella vera.
Certo restano moltissime domande a infestarci, in questo specifico caso mostruoso. Palmer, poi? Paladina punk-cabaret amatissima, survivor a sua volta, davvero sapeva e non ha agito? E per le vittime, figure opache come solo l’umana esperienza sa regalarci – riusciamo a ricordarci che, sempre e comunque, vige il #sorellaioticredo?
5. Sempre Neil, perdonami: Neil e (è?!) il lupo, stavolta
Lupi e Cappuccette, dicevamo. E confessioni. Mai tema fu più circolare.
Per amor di discussione, proviamo a sognare una versione della realtà in cui letteralmente tutte le testimonianze emerse siano mendaci e invece sia veritiera la ricostruzione avanzata da Gaiman (ovvero: sì, le relazioni sono autentiche, ma no, non ci sono mai state dinamiche di abuso).
Non possiamo lo stesso non rinvenire, sotto alla dinamica di base, una sperequazione di potere costante. Gaiman ha cioè comunque e innegabilmente uno storico sistematico di relazioni squilibrate, nel senso di prive-di-equilibrio, con donne giovani o giovanissime in stato di sudditanza psicologica, da fandom o addirittura rapporti di lavoro – uno storico che mal si sposa con tutte le volte in cui l’autore, in questi anni, ha fatto gran mostra di allyship sulle più varie questioni intersezionali.
Insomma: una gran brava persona – a parole. Esattamente come un sacco di altri borghesotti incastrati sotto facciate di comodo. E che ci facciamo, allora, con tutto l’intelletto superiore e la sensibilità altissima e la superiorità polecolare, se poi…?
Anche a dargli il beneficio del dubbio in buona parte delle situazioni riportate da Tortoise – che è senz’altro un lavoro sciatto e vampiresco anzitutto nei confronti delle testimoni – come ne esce Gaiman? Come un adulto profondamente inconsapevole del suo status e delle conseguenze delle sue azioni, nel migliore dei casi (il che risulta ridicolo), OPPURE un manipolatore seriale, predatorio, che ha approfittato dell’ottima reputazione per fare un po’ quello che gli pareva.
Ma lasciamo la parola a lui. Lasciamo la parola proprio a Neil; che retroattivamente ci si racconta, ci si definisce, in questo pezzone confessorio scritto quasi vent’anni fa.
L’internet non dimentica mai nulla.
Ma, in questo caso, la fonte è gerarchicamente inoppugnabile.
È lui.
[La traduzione che segue è invece colpa mia. Me ne scuso già. Buona lettura.]
Oggi mi hanno fotografato in occasione di un progetto relativo a una serie di poster che l'American Library Association dedicherà a scrittori e scrittrici. [...] La fotografa ha spiegato che intendeva farmi una foto piuttosto semplice (e l’ha fatto), e che in seguito conta di farne altre più fantasiose – io che incombo nell'oscurità, io con una mano che cola inchiostro o pittura, roba del genere. E poi ha detto che voleva farmi pure una foto nei panni del personaggio mitologico o letterario che preferivo, e s’è chiesta chi mi sarebbe piaciuto interpretare.
"Il Lupo di Cappuccetto Rosso", ho detto, perché stavo completamente a secco, e quella è stata la prima cosa che è spuntata nel vuoto totale che avevo in mente. Quindi in foto sarò il Lupo di Cappuccetto Rosso, anche se magari questo fatto non sarà palese se non a me e alla fotografa.
Poi lei mi ha chiesto perché…
Onestamente non lo sapevo, quindi ho iniziato a scrivere, per cercare di capirlo.
Diamogliene atto: qui Neil, pur vanagloriosamente solleticato dal photoshoot, sta cristallizzando un momento molto potente e un concetto cardine su cui la scrittura ruota come su un perno.
Iniziamo a scrivere per cercare di capire quello che (di noi, anche, a volte) non sappiamo.
Neil prosegue e sviscera tra sé e con la pagina quel che dovrebbe portare all’analista:
Penso che parte dell'idea del Lupo di Cappuccetto Rosso (perché proprio il suo lupo? Forse perché da bambino mi è stato regalato un libro della Ladybird con la storia di Cappuccetto Rosso, ed è stata la prima volta che m’imbattevo nell'immagine di un lupo in piedi sulle zampe posteriori. Indossava una giacca, almeno così lo ricordo, nelle illustrazioni, e parlava comodamente con Cappuccetto Rosso, che era paffutella e carina, e molto più grande di quanto io non fossi allora, e riuscivo perfettamente a capire che cosa lui vedesse in lei, e per me la canzone di Sondheim "Hello Little Girl" stava già cominciando a prendere vita, come testo, non come sottotesto: ovviamente, quest’incontro sarebbe stato l'inizio di una bella amicizia, una che sarebbe durata per sempre, tra ragazza e lupo).
Definiamo il male privilege senza definirlo? Per esempio, è dire in modo non ironico che quella tra i due soggetti qui sopra possa mai essere una bella amicizia – la cautionary tale nata per tenere letteralmente in casa e sotto scacco gli strati sociali più a rischio. Ma Neil se la canta e se la sòna, bontà sua:
Il lupo nella storia rappresenta un sacco di cose - il pericolo e la verità delle storie, tanto per cominciare, e il modo in cui cambiano; simboleggia – non la predazione, per qualche motivo – ma la trasformazione: l'incontro nel bosco selvaggio che cambia per sempre ogni cosa. Mi viene in mente la frase di Angela Carter per cui "alcuni uomini sono pelosi dentro": come immagine, nella mia testa, è l'ombra del lupo ad avere orecchie e coda, mentre l'uomo in forma di lupo se ne sta in piedi nella sua foresta (e anche le città sono foreste) e aspetta che la ragazza col mantello rosso, intenta a raccogliere fiori, passi, oppure, affamato, la osserva mentre si allontana...
Non scomoderei Angela a muzzo. Né a rovescio:
C'è un taglialegna, e un'ascia, ma all'inizio della storia, il lupo è ancora in attesa, e sta benone.
Quand’ero un ragazzino, da grande volevo essere un lupo. Non ho mai voluto essere un uomo lupo. Né ho mai voluto essere proprio un licantropo, se non per qualche anno durante i primissimi anni dell’adolescenza. Volevo essere un lupo, dentro una foresta oppure nel mondo.
In seguito, da adulto, ricordo di essermi imbattuto nella forma originale della storia di Cappuccetto Rosso, una versione francese che precedeva quelle edulcorate che avevo già incontrato, e tutta la cruda sessualità della storia è venuta fuori: quando lei incontra il lupo nel letto della nonna, lui mangia e beve la nonna insieme a lei, poi le dice di togliersi tutti i vestiti e gettarli nel fuoco – non le sarebbero più serviti – e, finalmente, lei lo raggiunge a letto nuda. Allora, senza altre cerimonie, lui la divora. E lì la storia finisce, a volte con una morale diretta – non parlare agli sconosciuti – e a volte senza. La storia mi ha turbato, e l'ho inserita in Sandman, nella storia della Convention dei Serial Killer, dove rappresenta un sacco di cose contemporaneamente, ed è anche se stessa.
Chissà a leggerla davvero, Angela Carter, anziché limitarsi a citarla, che turbamenti avrebbe avuto, Neil…
Il lupo definisce Cappuccetto Rosso. Fa sì che la storia succeda. Senza di lui, lei sarebbe stata solo una ragazza qualsiasi diretta a casa della nonna. E avrebbe lasciato lì le sue leccornie, e se ne sarebbe tornata a casa, e nessuno avrebbe mai sentito parlare di lei. Ma lui non è solo il lupo di lei: lui è tutti i lupi ai margini del mondo, tutti i lupi di tutte le storie, tutti i lupi in tutti i sogni dei lupi; occhi verdi che brillano nel buio, pericolosamente onesti in merito a quel che vuole: cibo, compagnia, una bramosia.
E se potessi essere una qualsiasi figura letteraria, penso che oggi sarei stranamente felice di essere lui.
Se me lo chiedessi domani, sono sicuro che sceglierei qualcuno, o qualcosa, di completamente diverso.
Oppure no, evidentemente, Neil. Oppure, come da copione, hai perso il pelo ma non il vizio, boo-hoo.
Qualsiasi cosa aggiungiamo in merito suonerà faziosa, settaria: ma altrettanto faziosa e settaria è la concezione di lupo come di ciò che definisce le Cappuccette di turno, che altrimenti sarebbero solo ragazze qualsiasi. (Sarebbero al sicuro, però, Neil. Bellodecàsa.)
Peraltro, quanto risulta stucchevole il maledettismo d’accatto?
Non esiste storia senza conflitto, su questo non ci piove. Ma è ben raro che ci si svegli al mattino sognando compiaciuti – no! F L E X A N D O ! – d’essere il conflitto incarnato, per edgy che possa suonare.
L’ANGOLO PENNIVENDOLO – PER TE CHE SCRIVI
Scadenze mostruose, ti confessavo prima, si sono abbattute su questa mia estate. Se, come ripetiamo di continuo, scrivere necessita di un allenamento (se non costante, almeno) affidabile, proviamo insieme a esercitare il gesto.
L’innesco che ti porto oggi – ricordi?, è un cadaverino-omaggio sul tuo zerbino, nulla più – è affar tuo, ma se ti cimentassi leggerei volentieri quel che hai scritto:
Progetta una trama ambientata per la maggior parte dentro una casa infestata: dov’è la fregatura? Che non deve capitare assolutamente nulla di spettrale, all’interno. Ma un mostro dev’esserci lo stesso.
6. Ti confesso pure che ho voglia di vederti
In aula ci vediamo per forza, tra Scrivere la ferita attraverso l’arte che è online e Mostro Femmina: feticcio, donna, altro, che è sia online che in presenza da OffTopic; bilanciamo i mostri con le mostre, in soldoni.
Tra le storie anche, però, ci vediamo – o ci ascoltiamo; ce n’è una che è quasi, e finalmente, in fase di montaggio, grazie alle santissime Benny e Berts. E usa il mostruoso per farne tanto altro: come scrivevamo mesi fa, usa le
storie di merda per farne concime. Perché Cappuccetto Rosso non incontri obiettori di coscienza, quando raggiunge il consultorio nel bosco.
(Oh sì. È A Gambe Larghe! Ricordi quando te ne parlavo qui?)
Quest’altra storia, invece…
…esce tra qualche settimana e ancora mi commuove. Ma te ne parlerò meglio più avanti.
Nel frattempo ti auguro un rientro settembrino che, come certi weekend predetti da Bordone, sia una roba di cui a posteriori “vergognarti comodamente, a cose fatte”.
A meno che tu non sia il Lupo.
In quel caso confessa: e poi fa’ attenzione a chi porta l’ascia, adesso, e a chi altri ha le zanne.
E cercati una nuova agenzia, tanto noi ti si legge lo stesso, mannaggia a te.
Cara, grazie mille per il link inserito nel tuo articolo! articolo meraviglioso, oltretutto. Grazie di cuore!
Ciao, ma se riesco a sviluppare un pochetto l'innesco che ci hai dato, come posso fartelo leggere? Quando inizia il corso all'Off Topic?