Scale di città e draghi di montagna, ovvero Come L’Apocalisse Ci Frega Quando Siamo Felici
Mostro preclaro,
«la grandezza di una montagna non è data dall’altezza, ma dalla sua capacità di attrarre i draghi».
Lo recita il proverbio cinese in esergo a Il libro degli esseri a malapena immaginabili di Caspar Henderson – esergo che ho perso il conto di quante volte mi sia già spesa a lezione, da sola o con Gallo, come Merende Selvagge o come contaballe di fiducia per persone adulte. Me lo rigioco qui, con te. Perché è un talismano, a suo modo: contiene la grandezza, contiene la capacità, contiene i draghi. What’s not to love, chevvoi deppiù.
A ogni modo.
Che significa?
Che c’entrano i draghi?
Ti avevo promesso mostri, in questa seconda stagione della Guida Pennivendola (la prima è questa roba qua).
Scrittura e mostri. Identità e mostri. Linguaggio e?, indovinato: mostri.
Ma sono successe due cose, nel frattempo.
SIGLA (hic sunt ’na cifra de mostri: beware).
1. La prima cosa che è successa (e che non era prevista)
Da qualche giorno, l’immagine che mi rimanda lo specchio è compromessa. Più compromessa del solito, cioè. Ogni giorno un pezzo di più. È deforme: sotto l’occhio sinistro si allarga una chiazza a forma di mezzaluna in gradiente sotto nero, più su viola, poi fucsia; l’ematoma arrossa e acchiappa il dorso del naso, dilatandolo più del solito; un taglio con crosta spezza il setto come una parentesi sdraiata di proposito – come osa. Tra il sopracciglio e la tempia destra c’è un livido più contenuto e appena sotto il mento un’ecchimosi speculare, con abrasione (minnulicchi supra ’a pasta), a ben guardare punta anche al verde, al giallo. Al mostro.
Un mostro.
Un.
Mo.
Stro.
(Ma dovresti vedere com’erano ridotte le scale, dovresti vedere. The Staircase, nun te temo.)
2. La seconda cosa che è successa (e che non era prevista)
Quando cominci il primo episodio di una newsletter non stai cominciando solo con la newsletter, t’avverte Substack: stai costruendo il primo pezzetto di una community. La gente vorrà far pace col tuo tono, prendere le misure dello spazio che abiti, vedere se il modo in cui lo arredi è compatibile col proprio. E invece.
E invece partiamo malissimo; perché, dopo il volo giù per le scale di venerdì sera e il weekend in PS al Don Bosco, tutti gli appunti presi in precedenza hanno subito lo stesso trattamento: involati vieppiù.
(Ti capita, con quello che scrivi – che Il Grande Imprevisto citofoni e tu perda stima della persona che eri prima di scrivere quello che avevi cominciato a scrivere? Ti capita, con quello che leggi – che Il Grande Imprevisto citofoni e tu perda stima della persona che eri quando hai scelto di leggere proprio quello che ti s’impila sul comodino?)
E quindi: la prima lettera di Domitilla Apostola ai Mostrini non doveva cominciare così. Mani avanti: CHECK.
3. Show, don’t tell (‘o famo, no lo dimo)

Se venerdì primo dicembre alle ore diciassette e tredici non mi fossi involata come il più grasso degli angioli dal secondo gradino a scendere del liceo scientifico e linguistico Giordano Bruno di Torino – se le scale non fossero state fradice di piovischio; se le uniche luci presenti non fossero state quelle dell’androne alle mie spalle e del lampione sul vialetto, e zero sugli actual fucking gradini; se non fossi uscita dal lab di scrittura con due borsoni dei loro racconti a tracolla e la classica, adrenalinica fatuità post lezione, che, dice la dottoressa, è una di quelle botte di dopamina di cui any ADHD va ghiotta, una specie di mostruosa felicità; se, se, se – allora avrei ancora il mio nasone originale e non questa maschera da 25 novembre fuori tempo massimo. (“Ma tu di’ che sono stati i phascisti”, ha commentato un’autrice e amica amata che sto accompagnando all’esordio con tutta l’anima. Non ho riso granché IRL, ma solo perché se muovo troppo il mento mugolo. In compenso ho snocciolato emoji eque e sincere.)
4. Scrivere di mostri, dicevamo
Pensavo già d’esserlo, un cesso insalvabile. Sempre pensato, in qualunque build. Ma l’occhio vitreo che oggi ammicca dallo specchio è generoso, elabora – chiede qualcosa in più.
Chiede:
non è per questo, che scrivi? Non è per questo che scrivete, tutte e tutti? Per condividere certa insalvabile cessaggine capillare, per essere superni Quasimodi a fasi e targhe alterne, per sublimare dentro e fuori il più paralizzante incanto come e quanto un’abiezione lombrosiana?
Spesso si mangiano le storie, i mostri. Nel senso che rubano la scena; ce li ricordiamo ben più di chi è protagonista là per là. Un po’ perché rappresentano tabù lungamente repressi o soppressi o sepolti, e dal sottomondo parlano (con meno allitterazioni, invero), e infestano più di Ligeia, Morella, Berenice. Un po’ perché incarnano l’altro e l’alterità, primordiali emissari del mondo oltre il velo. Un po’ perché piace tanto, a noi viventi, paragonarci a entità fittizie che ci rassicurino sulla salute del nostro senso di superiorità.
Oppure perché, come raccontano Francesca Giro e Gaetano Pagano di Monstrumana (effequ),
«MP chiede alla sua classe di mettere nella zucca i biglietti anonimi che contengono il compito assegnato il pomeriggio precedente, ovvero rispondere in maniera più sintetica possibile alla domanda: che cos’è un mostro?
Alcune delle risposte che ottiene: Una cosa che fa paura; Una creatura che ha i denti affilati e gli occhi bianchi; Può essere una specie di gatto ma cattivo e grande; Qualcosa del genere – segue il disegno di un ragno peloso dagli occhi gialli – e anche altri insetti; Qualcosa che non esiste ma fa paura; Giacomo. [...]
Che sia un gatto abnorme o che sia Giacomo, il mostro è qualcosa che ha a che fare, per opposizione e minaccia, con la nostra storia e con la nostra situazione: la nostra identità. [...] Qualsiasi risposta, in fondo, riporta in modalità diverse al seguente concetto: il mostro è la reificazione archetipica per eccellenza della paura.»
Monstrum è presagio e terrore. È meraviglia. È extra-umano, o più umano dell’umano. Ammonisce e prescrive. Si mostra, appunto, disvelato. E, da queste parti, tiferemo sempre per ləi.
L’ANGOLO PENNIVENDOLO – PER TE CHE LEGGI

Perdonami, budget, perché ho peccato – ho accumulato una mostruosa quantità di libri, nell’ultima settimana.
In parte perché ho una serie di consegne serrate e vivo quel momento, nella scrittura, in cui si compulsano suggestioni da più parti con viva disperazione e certezza granitica di deludere gli astanti in un boato di professionemitòmane; in parte perché rischiare il collo in modo grottesco – fantavalanga, non survivor maudite o final girl – innesca un effetto compensativo. L’autoindulgenza premierà sempre la ragazzina grassa che stava per farsi malissimo.
A te cosa consiglio? Questo, in particolar modo, vista l’aria che.
E questo, e questo, e questo.
Con questo, invece, conto di preparare corsi sempre migliori per te e per chi vorrà. Formarsi sempre significa rimanere discente; rimanere discente significa non invecchiare mai e cringia meno del botox.
L’ANGOLO PENNIVENDOLO – PER TE CHE SCRIVI
So che la sindrome dell’impostore è viva e lotta insieme a noi. So che non scriviamo quando non ci concediamo il lusso di farlo, tu e io, e so anche che in realtà il mondo ne gioverebbe se ora smettessimo del tutto: ogni anno in Italia escono quasi novantamila nuovi titoli. Ogni anno in Italia meno del 40 per cento delle persone che hanno più di sei anni legge un libro sua sponte.
(Non importa che tu sia un nuovo titolo o una persona che legge. Compra in libreria.)
Se sei ancora qui, dunque, hai mostruosa la faccia di tolla, e anche un po’ la cazzimma sognatrice. Sei il mio mostro. E quindi. Scriviamo insieme. Lo facciamo con gli omaggi che ti lascio sullo zerbino, mezzi vivi mezzi morti toda joia, ok?
Ti riporto di seguito il primo cadaverino scintillante: è un prompt, un innesco, che scippiamo di peso dallo
Scrivi 200 parole dal punto di vista di un personaggio che crede qualcosa in cui credi anche tu. Fa’ in modo che anche chi ti legge se ne convinca. Punta a stare dentro la testa del personaggio, possibilmente usando il suo specifico modo d’esprimersi (che non deve essere necessariamente il tuo, e che ti forzerà a prendere direzioni inattese).
Metti il personaggio da qualche parte – dove ti pare. Ma in un posto specifico. Fallo muovere, almeno teoricamente, attraverso quello spazio.
Merita, Saunders scrittore? Secondo me sì.
Gallo pure dixit:
Corri a procurartelo – in caso, puoi preventivamente assaggiarlo qui.
5. E i draghi?!
È finita la Dorsale. Ti auguro di trovarne al più presto una tutta tua, da popolare delle bestie da lavoro e diporto più funzionali al tuo worldbuilding ma soprattutto alla tua sfacciata, mostruosa felicità.
Ad attrarre i draghi facciamo sempre in tempo.
Che bello trovare George Saunders, pensa che è la prima newsletter a cui mi iscrissi qui nel Substackverso! Oltre ai racconti e "Lincoln nel bardo", ho trovato splendido il linguaggio di "Volpe 8" (che sta dalle parti del "Selvaggio" di David Almond).
Ben arrivata su Substack! 😊